Perché è importante parlare di sindrome feto-alcolica o, con un linguaggio più comune, del consumo di alcol in gravidanza? Perché le future mamme, ma anche le giovani donne che pensano di diventarlo un giorno, devono sapere come comportarsi di fronte ad un semplice e occasionale bicchiere di vino o di birra durante la dolce attesa. Non è vero, infatti, come fino a qualche tempo fa anche la maggior parte dei medici affermava, che mezzo bicchiere del ‘nettare degli dei’ non fa male.
L’alcol è una sostanza tossica che passa attraverso la placenta direttamente dalla mamma al bambino e può provocargli effetti anche molto gravi sia sullo sviluppo morfologico, sia sullo sviluppo delle capacità cognitive della vita adulta.
Al Policlinico Umberto I di Roma, Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio – CRARL, il professor Mauro Ceccanti, direttore del Centro ricorda che il consumo di bevande alcoliche, anche occasionale, in gravidanza, è “la più comune causa conosciuta di ritardo mentale, acquisito nell’infanzia e totalmente prevenibile mediante l’astensione completa della gestante dal consumo di bevande alcoliche”.
Una delle difficoltà maggiori, spiega il responsabile del CRARL dal 1997, è quella di “individuare, il prima possibile, le donne che durante la gravidanza bevono anche piccole quantità di alcol, perché questo potrebbe comportare un’alterazione notevole delle funzioni cerebrali ma anche organiche della prole”.
L’argomento è oggi molto sentito proprio in funzione del dilagare del numero di giovani e giovanissimi (22,9%, secondo i dati Istat) dediti, soprattutto nei fine settimana allo shottino, o addirittura al binge drinking, le cosiddette ‘abbuffate alcoliche’, ovvero l’assunzione di più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve con l’unico obiettivo di perdere il controllo.
Un aiuto per le future mamme per prevenire la sindrome Feto-Alcolica
Il professor Mauro Ceccanti direttore del Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio (CRARL) presso il Policlinico Umberto I di Roma ha elaborato, insieme alla sua equipe, uno studio di notevole interesse internazionale che è stato pubblicato su Toxicology Letters, una delle più prestigiose riviste di tossicologia, che “offre alle persone la possibilità (ndr. ed al personale stranitario ulteriori strumenti diagnostici) – ribadisce Ceccanti – di poter in qualche modo affrontare quest’argomento il prima possibile, perché prima viene fatta la diagnosi di consumo di alcol in gravidanza, prima si può sospettare un problema nella prole, quindi prima ancora si potrà intervenire attraverso varie metodologie”.
Consumo di alcol, impossibile mentire con il nuovo marker
La ricerca è stata condotta nell’ambito dell’Istituto di Ostetricia e Ginecologia, al Policlinico Umberto I di Roma. Spiega il Professore: “Abbiamo effettuato lo studio su 70 donne in gravidanza, in varie fasi della gravidanza, che sono state sottoposte ad alcuni questionari che vengono indicati normalmente validi per poter ottenere il risultato necessario. In realtà ai nostri questionari abbiamo aggiunto anche un metodo biochimico che ci ha dato la possibilità di verificare l’inattendibilità, in certi casi, delle risposte fornite per identificare le donne che consumano alcol. L’indagine biochimica viene fatta utilizzando un marcatore importante che è presente solo se si è effettuato un consumo di alcol. Si tratta dell’etilgucuronide (EtG), un prodotto metabolico dell’alcol etilico che si forma nell’organismo per coniugazione dell’etanolo con l’acido glucuronico.
La presenza dell’EtG nelle urine permette di accertare il consumo di alcol etilico anche a distanza di ore-giorni, cioè quando l’alcol è stato già completamente eliminato dall’organismo. “Con questa tecnica – precisa il responsabile del Crarl del Policlinico Umberto I – possiamo dare una risposta concreta alle nostre esigenze di conoscenza, perché purtoppo ci sono donne che tengono a sminuire i loro stili di vita che contemplano anche un moderato consumo di birra, aperitivi, amari e così via. Mentre, invece, dove è scritto in etichetta che c’è una certa percentuale di alcol, quello è alcol!”
La ricerca è molto importante, ne è convinto il prof. Ceccanti, perché “ci permetterà di confermare i dati dei questionari con altri ulteriori ottenuti con piccole variazioni che ci sono state dettate dalla sperimentazione appena conclusa”.
Etilgucuronide è il marker per il riscontro biochimico del consumo di alcol
Etilgucuronide è il marcatore studiato nel lavoro portato avanti dall’ equipe che opera presso il Centro di Riferimento Alcologico dell’ Umberto I. Per saperne qualcosa di più il dott. Giampiero Ferraguti ricercatore della Sapienza, presso l’UOC di Patologia Clinica del Policlinico, spiega che “questa molecola, una volta che viene sintetizzata nell’organismo, può essere studiata in diverse matrici biologiche ed utilizzata per lo studio delle droghe d’abuso attraverso il sangue, le urine, eventualmente il capello. La dinamica di eliminazione dipende dal tipo della matrice che andiamo ad analizzare: se cerchiamo un consumo recente dobbiamo cercarla nel sangue, entro qualche giorno – fino a un massimo di quattro – possiamo cercarla invece nelle urine. Con il capello si può risalire indietro fino a un paio di settimane. L’innovazione sta nell’avere utilizzato uno strumento biochimico per confermare i risultati dei test somministrati alle gestanti. Fino ad ora l’unico modo di indagine erano le interviste, che passano attraverso il filtro della persona e non sempre le gestanti soprattutto quelle che bevono in modo importante, sono disposte ad ammetterlo nella compilazione del questionario. Quindi il riscontro biochimico ci dà controprova di quello che dichiarano nella compilazione del test. L’idea è quella che, essendo un esame non invasivo, in un futuro possa sostituire i test attualmente utilizzati. Soprattutto ci dia la reale dimensione del consumo alcolico all’inizio della gravidanza, in particolare quando c’è un pericolo maggiore teratogeno per il feto legato al consumo di alcol da parte della mamma”.
Sindrome Feto-Alcolica, pericolosa ma poco conosciuta in Italia
È stato stimato che almeno 70 milioni di persone in tutto il mondo soffrano le conseguenze dell’assunzione indiretta di alcol prima della nascita, con esiti che vanno dal deficit nell’apprendimento ai disturbi mentali e comportamentali. Disturbi che dai medici vengono definiti “Disordini Feto-Alcolici” (Fasd) e negli USA interessano circa l’1% delle nuove generazioni mentre in Europa la percentuale si raddoppia (2%).
La Sindrome Feto-Alcolica (Fetal Alcohol Syndrome-FAS) è un fenomeno poco conosciuto in Italia. L’uso di alcol durante la gestazione rappresenta la prima causa conosciuta di ritardo mentale nel bambino, tanto che i deficit cognitivi e comportamentali che provoca sono stati inseriti di recente nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – Fifth Edition. Nonostante questo, nel nostro Paese la Sindrome Feto-Alcolica è un fenomeno ancora poco noto, non solo alla popolazione ma, molto spesso, anche agli operatori sanitari che si occupano della salute della futura mamma.
Un problema così importante e grave che ha trovato a livello nazionale tutte le scuole universitarie di ostetricia d’accordo nell’introdurre all’interno dei loro corsi di laurea il problema stili di vita e consumo di alcol. Così pure la federazione nazionale dei collegi delle ostetriche, per cui partiranno a breve due ricerche nazionali perché una vita che nasce teme l’alcol e proteggere la salute del bambino è una responsabilità della madre, ma anche un impegno della società.
Autore di questo articolo: Alessandra Binazzi
Fonte originale: Policlinico News